L’appello di Papa Francesco: non siate indifferenti alla democrazia PDF Stampa E-mail

Da Venezia a Trieste, le parole di un uomo fragile nel fisico ma di granito nello spirito, ci hanno richiamato tutti al rispetto dei più fondamentali diritti

Peccato di omissione e peccato mortale:  l'indifferenza alla democrazia. Da Trieste, papa Francesco ha lanciato un vibrante appello a non farsi complici di quell'autentica pandemia che sta mettendo a rischio il bene primario della comunità.   

 

E l'ha fatto chiamando in causa in prima battuta il mondo cattolico: non solo quello italiano, ma «tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere ed operare»; perché «la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e nazioni».

di   FRANCESCO JORI

 Accettare passivamente questo degrado significherebbe diventarne complici:  da qui la sollecitazione a chi si qualifica come cattolico, «a essere voce, voce che denuncia e che propone, in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce».

 

Le parole di Bergoglio chiariscono, una volta per tutte, il vero significato dell'impegno dei cattolici in politica.  Allo stesso tempo, rappresentano una presa di posizione netta contro le derive che, non soltanto in Italia, spingono verso chiusure egoistiche e difese di interessi nazionali: «Il popolo non è populismo», ha sottolineato Francesco; ricordando che la democrazia è tale solo se non esclude, se accoglie, se mette  l'interesse della comunità davanti a quello degli individui.

 

Lui per primo si rende conto di quanto sia arduo tradurre in pratica questo principio: per riuscirci, occorre che diventi «un sogno collettivo». E qui entra in gioco il ruolo dei cattolici,  chiamati da Francesco a cimentarsi nella capacità di «organizzare la speranza».

 

È significativo che le parole del Papa provengano da un Nord Est dove i semi di questa sensibilità hanno radici remote: le Settimane sociali concluse ieri a Trieste sono nate nel 1907 da un'idea del trevigiano Giuseppe Toniolo, pioniere fin dall'ultimo scorcio dell'Ottocento dell'impegno sociale dei cattolici. 

 

Così come è significativo che Francesco abbia scelto Trieste ieri, come aveva fatto con Venezia ad aprile, quale luogo simbolico da cui ribadire la centralità dell'accoglienza, combattendo la cancellazione prassi di quella che più volte ha chiamato «la cultura dello scarto». Lo ha fatto due città del Nord Est, entrambi luoghi di frontiera tra Occidente e Oriente , che nella loro lunga storia hanno saputo costruire ponti anziché muri tra culture, valori, umanità diverse, facendo della convivenza una ricchezza. E dimostrando, nei fatti, che la comunità viene prima del singolo; diventando, in altri termini, uno scenario di democrazia. 

 

Oggi quell'esperienza viene messa a rischio nell'intero Occidente da una devastante crisi economica e sociale che diventa fonte di populismi, nazionalismi, conflitti e che esaspera le diseguaglianze sociali contro cui papa Francesco si batte fin dall'inizio del suo pontificato.

Non ci sono più soltanto quelli che nascono poveri, a loro si aggiungono quelli che lo diventano strada facendo.

 

E che sono tanti, troppi: tre milioni nella sola Italia i cosiddetti “working poors” , le persone che pur lavorando non superano la soglia di reddito per potersi mantenere da sole. Una bomba potenziale, di fronte alla quale la democrazia non può essere indifferente, altrimenti finisce per perdere la sua stessa ragione sociale.

 

Da Venezia a Trieste, le parole di un uomo fragile nel fisico ma di granito nello spirito, ci hanno richiamato tutti al rispetto del più fondamentale diritto da garantire a chiunque: quello di non essere considerato meno di un uomo.

fonte: il Piccolo 

 
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