La faglia “ibleo-maltese” e i grandi terremoti della Sicilia sud-orientale PDF Stampa E-mail

Come è noto la Sicilia sud-orientale è una delle zone a maggiore rischio sismico, non solo d’Italia, ma dell’intero bacino del Mediterraneo. L’area è caratterizzata dal cosiddetto Plateau ibleo, limitato a nord e a nord-ovest dall’avanfossa Catania-Gela, ad est dalla Scarpata ibleo-maltese e a sud dalle strutture dello Stretto di Sicilia. Questo è il regno della famosa e temuta faglia “Ibleo-Maltese”, una sorta di grande spaccatura in seno alla crosta terrestre che dall’isola di Malta risale verso le coste sud-orientali siciliane e il versante orientali degli Iblei. Quest’ultimi rappresenterebbero il blocco rialzato di questa importante struttura sismogenetica (un pò come i monti Peloritani per la faglia di Messina-Giardini Naxos responsabile del terribile sisma del 28 Dicembre 1908). Dobbiamo però sottolineare che la faglia “Ibleo-Maltese“, in realtà, non deve essere interpretata come un blocco unico che da Malta risale in direzione della Sicilia orientale (coste del ragusano, siracusano e catanese), altrimenti il rischio e il potenziale sismico sarebbe ancora più alto, con effetti a dir poco catastrofici non appena si riattiva un nuovo ciclo sismico. Ma è divisa in vari segmenti, ossia più faglie, dislocate fra gli Iblei e il tratto di fondo marino antistante le coste del siracusano e catanese. In effetti, tra Catania e Siracusa, il sistema di faglie che caratterizza la zona dell’Ibleo-Maltese continua lungo l’off-shore ionico, li dove comincia la grande scarpata siciliana, con numerosi segmenti di faglia con un prevalente andamento verso N-NO. La faglia più importante presente in questo settore è rappresentata dalla faglia occidentale che va ad estendersi parallelamente alla linea di costa per una lunghezza complessiva di oltre 45 chilometri. Stando ad alcuni studi della fine degli anni 90 (Bianca, 1999) questo segmento interessa l’intera crosta assottigliata del dominio ionico e, riattivando verso le sue porzioni meridionali la scarpata “Ibleo-Maltese”, interessa il fondo marino creando delle scarpate quasi rettilinee, caratterizzate da altezze che vanno dagli 80 ai 240 metri.

Andando verso sud il sistema di faglie normali riprende una direzione prevalente verso NE e interessa le porzioni emerse dove esso è rappresentato dalla nota faglia di Avola e dalle faglie Rosolini-Pozzallo, ancora sotto studio. La faglia di Avola si estende per oltre 20 chilometri separando le montagne di Avola dalla pianura costiera. La faglia controlla a pieno la topografia del luogo ed è caratterizzata da una scarpata rettilinea che raggiunge altezze di oltre 290 metri (ben visibili). A sud di Noto la deformazione viene distribuita in una serie di faglie normali, il segmento di Rosolini-Pozzallo, orientate con asse NE-SO. Questo sistema di faglie normali causa una intensa reincisione del reticolo idrografico nei settori rialzati. Queste faglie, inoltre, formano delle grandi scarpate rettilinee che raggiungono e superano una altezza di 70 metri nei pressi dell’abitato di Ispica. Poco a nord-est dell’abitato di Rosolini la faglia principale del sistema è affiancata da un’altra faglia antitetica che forma un piccolo “graben” (depressione di natura tettonica) in corrispondenza del quale si sviluppano valli reincise, con deviazioni dei bacini fluviali. Purtroppo è proprio lungo il tetto delle faglie appena descritte che si sono realizzati i terremoti più violenti e distruttivi della storia sismica d’Italia e dell’intero bacino del Mediterraneo. Per questo è ritenuta una delle aree, in ambito nazionale, che vanta il più grande potenziale sismico.

Tra quelli più catastrofici ricordiamo gli eventi del 1169 e del 11 Gennaio 1693, probabilmente il terremoto più violento avvenuto in Italia in epoca storica (ma non tutti concordano), con una magnitudo di oltre 7.5 gradi Richter. In particolare le due scosse del 9 e 11 Gennaio del 1693 furono talmente violente da devastare l’intera Sicilia sud-orientale, radendo al suolo molti centri abitati, fra cui Noto, non per caso qualcuno parlava anche del terremoto della Val di Noto. Da sottolineare pure come entrambi gli eventi, davvero fortissimi (sicura la magnitudo sopra i 7.0-7.5), siano stati accompagnati da un imponente tsunami che flagello i villaggi costieri di tutta la Sicilia sud-orientale, da Capo Passero fino ad Acireale, cagionando centinaia di morti. Nel 1169 le ondate sollevate dall’evento tellurico raggiunsero persino la città di Messina (che rimase danneggiata dal risentimento sismico), dove il mare superò agevolmente le mura che circondavano l’area abitata, penetrando fino all’entroterra. L’unico dubbio che emerge riguarda proprio lo tsunami che segui i gravi eventi sismici. Ancora oggi i sismologi si domandano come un terremoto, si molto forte, ma di appena 7.5 di magnitudo, possa dare origine a uno tsunami cosi potente, da radere al suolo le mura delle vecchie città costiere della Sicilia orientale. L’unica risposta plausibile, al momento, potrebbe riportarci alla spiegazione del maremoto prodotto dal terribile terremoto del 28 Dicembre 1908, tra Messina e Reggio.

Ossia una grossa, colossale, frana sottomarina avvenuta lungo la ripida scarpata siciliana, un ripido pendio che degrada verso gli abissi del mar Ionio (oltre 3000 metri di profondità). In tal caso il grande evento franoso sarebbe stato attivato niente meno che dal poderoso scuotimento del fondale marino originato dal violento evento tellurico. Una sorta di causa/effetto che potrebbe spiegare i numerosi tsunami che negli ultimi millenni hanno più volte devastato le coste della Sicilia orientale, lasciando tracce indelebili sul territorio. Più recentemente la faglia “Ibleo-Maltese” si è resa protagonista di un importante evento sismico, ormai quasi del tutto dimenticato in ambito nazionale (ciò non vale per chi l’ha vissuto in prima persona e ancora oggi ricorda quei drammatici istanti), che alle ore 01:24 del 13 Dicembre 1990 interessò un’ampia parte della Sicilia sud-orientale. La scossa ebbe una magnitudo di 5.7 Richter e una durata di circa 45 secondi, a cui seguì un’altra sensibile scossa di assestamento il giorno 16. L’epicentro venne localizzato nel Golfo di Augusta, poco a largo delle coste siracusane. Le città e i comuni più colpiti dalla grave scossa furono quelli di Augusta, Melilli, Sortino, Carlentini, Lentini e Francofonte in provincia di Siracusa, dove provocò, purtroppo, 17 morti, centinaia di feriti e 15.000 senzatetto. Le vittime civili furono tutte a Carlentini in edifici costruiti in tufo. I maggiori danni agli edifici, peraltro di costruzione recente, furono invece ad Augusta. All’indomani del sisma vennero installati i containers per gli oltre 7.000 senzatetto, mentre le televisioni nazionali del periodo (parliamo del 1990) si resero protagoniste di un vergognoso silenzio.onte (daniele ingemi da meteweb.eu)

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