Obama: il sogno è nuova promessa PDF Stampa E-mail

ImageNew York. “A John McCain sta a cuore l'America, il problema e' che non capisce'': davanti a oltre 84mila spettatori rapiti e un'audience televisiva stimata di 30 milioni, Barack Obama ha accettato ''con profonda umilta' e gratitudine'' la nomination democratica partendo subito all'attacco di John McCain, clone della ''presidenza fallita'' di George W. Bush, e contro ''la politica zoppa di Washington''.
45 anni dopo il 'sogno' di Martin Luther King, il candidato democratico ha proposto all'America in crisi per otto anni di amministrazione repubblicana il suo sogno di rinascita in nome di una ''nuova promessa'': la promessa ''che ciascuno di noi e' libero di vivere come vuole ma che abbiamo anche l'obbligo di trattaci l'un l'altro con dignita' e rispetto'.
J.F.K. nel 1960 aveva proposto all'America una 'Nuova Frontiera', Bill Clinton nel 1992 una 'Nuova Alleanza''. Per far tornare, come disse Ronald Reagan nel 1980, l'America ad essere grande, Obama si e' impegnato con ''una nuova promesssa'' nello spirito di solidarieta' e intraprendenza degli ''immigrati che varcavano gli oceani, dei pionieri che andavano all'Ovest, dei lavoratori che picchettavano le fabbriche e delle donne che volevano il voto''.
Obama parla per 44 minuti davanti a un fondale che di mattina sembrava un pomposo tempio greco ma calata la notte evoca di piu' una conversazione intima davanti a un caminetto, o il portico della Casa Bianca. Accolto da un coro di ''Yes we can'' e da 'City of Blinding Light' degli U2, Obama ha detto all'America di votarlo perche' ''indietro non si torna'', e soprattutto non si puo' tornare a riciclare - come aveva detto poco prima l'ex vice-presidente e Nobel per la pace Al Gore - otto anni di politiche repubblicane con un McCain clone di Bush.
Lo stadio di Denver ascoltava in religioso silenzio come la folla riunita a Times Square a New York sotto uno schermo gigante. Come tutti i presidenti degli Stati Uniti, come Franklin Delano Roosevelt e J.F.K. Obama si e' detto pronto a difendere l'America: ''In quando Commander-in-chief non esitero' mai a difendere questa nazione, ma inviero' le truppe solo con una missione chiara e il sacro impegno a fornir loro quanto necessario durante la battaglia, e le cure e i benefici che meritano una volta tornati a casa''.
Il senatore aveva scritto a mano e limato fino all'ultimo il discorso piu' importante della sua folgorante carriera. Oggi l'America di George W. Bush si trova impantanata nel 'malaise' del caro-benzina, i licenziamenti, le case pignorate, l'immagine screditata nel mondo. Ai critici che lo accusavano di essere solo belle parole, Obama ha risposto con la sua ricetta per ''rimettere il paese sui binari''.
Yes we can, secondo Obama, si', si puo': dopo otto anni di Bush l'America puo' svegliarsi dall'incubo con un pacchetto di sgravi e fiscali, un attacco frontale alla crisi immobiliare, un impegno a ridurre entro 10 anni la dipendenza dal petrolio straniero anche con l'aiuto del nucleare. Il messaggio e' ''di sostanza'', sanita', istruzione, hanno anticipato i collaboratori del senatore sperando che col discorso allo stadio Obama riesca a far breccia in tutto il paese, democratici e repubblicani, laici e fedeli, uomini e donne, bianchi ispanici asiatici e neri, stati 'rossi' e stati 'blu'.

 
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